IL PROGETTO

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PRATICHE ARTISTICHE E POLITICHE DI WELFARE


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Ban[alisationdu]lieu individua nella ricerca artistica contemporanea la possibilità di agire come fattore di cambiamento sociale e promuove il coinvolgimento di artisti e ricercatori nella creazione di una rete di azioni e progetti a base locale e partecipativa, finalizzati alla costruzione o alla ricostruzione - nell'eterogenea periferia romana - degli immaginari e di un rapporto affettivo tra le persone e i luoghi.

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Partendo dall’analisi della incontrovertibilità di alcuni cambiamenti sociali incorsi nella città di Roma e dal riconoscimento di un’arte pubblica in grado di contribuire alla comprensione e alla gestione di questi sintomi, la nostra ricerca si è concentrata sulla relazione tra centro e periferia, attraverso l’ascolto della dimensione affettiva del quotidiano e della memoria del luogo.


Territorializzare le culture vuol dire scambiare e negoziare i saperi e le storie. Il locale diviene quindi il luogo della riappropriazione della libertà dell’individuo nel contesto sociale, laddove ridefinire un sistema democratico significa necessariamente adottare un linguaggio di interazione e intimo ascolto tra uomo e spazio urbano.

Il recente dibattito sulle pratiche artistiche partecipative ha sollevato diversi problemi che interrogano l’arte dal punto di vista del suo pubblico, inteso nelle sue molteplici differenze. Arte, politica e società possono cessare di essere dei concetti astratti per materializzarsi in azioni, processi e relazioni che non si fondano sul limite tra artefice e spettatore, ma costruiscono le condizioni di possibilità perché l’arte “abbia luogo”.

Un progetto che individua l’arte e la cultura come pratiche di welfare, potrebbe:
- guardare alla comunità non come un distretto, ma come collettivo di abitudini e narrazioni condivise;
- prendere in considerazione la materialità degli immaginari prodotti nel territorio, includendo le posizioni oppositive;
- immaginare e progettare strategie culturali che creino “punti per una vista” piuttosto che imporre punti di vista su astratte relazioni sociali.

La ricerca prende in esame la cultura nelle sue dinamiche di distribuzione - focalizzando l’attenzione sulla didattica e l’educazione - con riferimenti agli immaginari e al modo in cui questi si sono col tempo inscritti nel territorio.

Il progetto si propone pertanto di instaurare un dialogo che porti alla formazione di realtà culturali organiche localizzate, in grado di riunire sapere pratico e teorico, in un laboratorio di rinnovamento che parta dal basso.


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LA FASE ISTRUTTORIA DEL PROGETTO

E’ possibile pensare l’arte contemporanea come strumento euristico ed “attivo” in grado di contribuire alla creazione di una rinnovata coscienza e di un nuovo uso dello spazio pubblico?

Può il progetto culturale innestarsi strutturalmente - anche e soprattutto in una città come Roma - nell’implementazione della recente “materia urbana”, suggerendo allo stesso tempo nuove forme di relazione tra questa e la città consolidata, stratificata, “storica”?


Simili questioni (e relativi corollari) ci hanno spinto ad attivare un gruppo di studio per valutare la praticabilità di un percorso che veda la ricerca artistica e il display curatoriale, confrontarsi e dialogare “sul campo” con le politiche di welfare nel quadro di un progetto di lungo respiro mirato a proporre un modello potenzialmente replicabile (con variabili sempre specifiche e diversificate), di costruzione e ricostruzione dell’immaginario di una comunità urbana.

Per fare questo abbiamo sentito la necessità di avviare una fase “istruttoria” in grado di fornirci gli strumenti adatti ad impostare correttamente il problema.
Da un lato abbiamo quindi iniziato a studiare e ad analizzare tutte quelle esperienze che, tra ‘900 e nuovo millennio, si sono poste un analogo scopo, valutandone gli esiti, i punti di forza, le criticità.
Dall’altro abbiamo sentito l’esigenza di attraversare fisicamente il corpo urbano di Roma, nel tentativo di comprendere cosa, nello specifico del suo spazio e del suo tempo, definisce e sostanzia la dicotomia e la relazione tra centro e periferia. Come è avvenuta - o non è avvenuta - la condensazione di narrazioni condivise e quindi di “menti locali” nel corso della sua evoluzione moderna.

Alla base c’è la convinzione che nessuna risposta culturale o politica - elementi per noi intimamente interconnessi - possa prescindere dalla comprensione di ciò che la storia e la microstoria hanno innescato e innescano nell’uso e nel pensiero pubblico della città.

Capire il più profondamente possibile le dinamiche che il “progetto” produce, osservando come questo viene assecondato, piegato, negato dall’uso, ci è sembrato fosse assolutamente preliminare alla codifica di un qualsiasi possibile intervento nella congerie di complesse e stratificate dinamiche che sottendono questo moto incessante.

Il lavoro che riteniamo più arduo, ma che ci stimola a cercare possibili risposte, è infatti la messa a punto di un dispositivo relazionale multivello che conduca alla produzione e alla problematizzazione di una metodologia elastica e non-colonizzante, in grado di offrire prospettive più integranti - e quindi meno “eventuali” - alla progettazione culturale.

Attraverso il recupero di pratiche e pensieri che hanno fatto della “partecipazione” una della modalità più fertili di riappropriazione e reinvenzione dei modi d’uso e interpretazione dello spazio pubblico, crediamo che, ora più che mai, l’accesso a questo patrimonio e una sua riattualizzazione critica, sia determinante per la costruzione di un modello di città sostenibile.
E questo percorso, a Roma come altrove - ma a Roma più che altrove - non può prescindere dalla risoluzione di due nodi determinanti: una riflessione (relativamente) esaustiva che riattivi la fluidità nella relazione tra preesistenza e contemporaneità e, quindi, lo scioglimento di quei “blocchi” che, de jure e de facto, impediscono un ripensamento del rapporto tra centro e periferia.

La proposta di costruire un itinerario attraverso la storia della periferia romana, nasce dalla necessità di comprendere il senso dello sviluppo urbano e dell'immaginario che intorno ad esso si è nel tempo stratificato. E’ nostra convinzione che gran parte degli atteggiamenti che la società moderna assume nei confronti della periferia (elevata a concetto e come tale congelata, fraintesa e tradita), derivino da un'assente o superficiale conoscenza storica e materiale della sua evoluzione, dei contesti storici, sociali e culturali che l'hanno gradualmente prodotta.

Progettare un intervento nella complessità del corpo urbano, nella parte della sua materia che più si offre multiforme, viva e problematica, non può prescindere da questo studio e dalla sua verificabilità in res. E’ questa l'intuizione che ci ha spinto a costruire un itinerario selettivo quanto filologico nella genesi della Roma moderna dall'epoca post-unitaria ai giorni nostri.


LA DERIVA COME METODOLOGIA ETICA ED ERMENEUTICA

Lo strumento prescelto per sviluppare questa riflessione è stato individuato in quella che abbiamo voluto definire - sulla scia dell’esperienza situazionista - deriva (l'attenzione nella scelta e nell'utilizzo dei termini è per noi una componente metodologica strutturale e sintomatica).

« Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari. » (Guy Debord).


La deriva, all'opposto dell'esplorazione, è un modo di procedere che punta a stabilire un rapporto di intimo ascolto, alla pari, con lo spazio attraversato, un’attitudine eticamente destrutturante che si priva a priori della possibilità di sovrascrivere la realtà.

Siamo dell’idea che lo spazio urbano - e chi lo vive - non vada colonizzato dal pensiero e dalle azioni, ma attraversato consapevolmente, attentamente letto e riflettuto.

Le nostre derive sono quindi allo stesso tempo esperienza di ascolto dello spazio e momento di analisi e riflessione peripatetica sulle stesse modalità relazionali (e sentimentali) che ci legano ad esso.

Il frutto di questo procedere, lungi dal considerarsi esaustivo, rappresenta da un lato una risorsa attraverso cui il gruppo riflette e formula le sue proposte di intervento e ulteriore approfondimento, dall’altro, uno strumento di “messa in crisi” della percezione del sé e dell’altro da sé.


CRITERI DI SELEZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI "CASI STUDIO"

Il criterio di selezione dei “quartieri tipo” oggetto delle derive, è eminentemente storico.
All’interno di questo principio, abbiamo organizzato la sequenza in modo da poter generare una dialettica serrata e significante tra dimensione sincronica e dimensione diacronica.
Gli esempi selezionati rappresentano quindi (nei limiti) gli episodi più esaustivi dello zeitgeist (politico, economico, culturale) che li ha generati e più densi di implicazioni dal punto di vista storico-sociale, funzionale e formale (dimensione sincronica).

La decisione di effettuare questa serie di uscite con una cadenza settimanale (tra marzo e giugno 2007), ha d’altro canto innescato un processo “filmico” che ha messo in risonanza questi singoli brani di spazio urbano, producendo un surplus di senso e di esperienza in grado di arricchire e complicare, in itinere, l’osservazione e la riflessione (dimensione diacronica).

Alla base di questa scelta c’è l’intenzione, sin dai primi passi di una ricerca che non si vuole esaustiva ma problematica, di affrontare il rapporto centro-periferia partendo dal presupposto che è necessario pensare la periferia urbana non come una alterità opponente e minacciante l’integrità del “centro”, ma come una sua fase evolutiva e consustanziale - come un laboratorio magmatico - attraverso cui la città struttura progressivamente (attraverso modalità formali ed informali) la propria dislocazione sul territorio e la propria sopravvivenza in quanto organismo.

Leggere in termini “periferici” brani del territorio urbano che i tempi, gli usi e gli immaginari hanno materialmente e simbolicamente assimilato e reso “centrali”, è guardare alla relazione tra queste due apparenti polarità in termini “stadiali” anziché “assiali”.
Ribaltando questa prospettiva si aprono orizzonti ermeneutici ed epistemologici in grado, forse, di fluidificare le politiche di welfare e gestione del territorio, di farne vettori capaci di intrecciare e mettere a sistema livelli sin ora pericolosamente incomunicabili, quali quello sociale, urbanistico, economico e culturale. Minata la struttura binaria e gerarchica del rapporto centro-periferia, si è così in grado di porre l'accento sulla multidimensionalità della storia stessa, sottoponendone a critica fondamenti e rappresentazioni e rivalutando l'agency e il protagonismo di soggetti dei quali si sono, finora, ignorate le voci.


I "CASI STUDIO" - MODE D'EMPLOI

Attraversando fisicamente questi brani di città, abbiamo tentato di affrontarne la stratificazione e la stratigrafia, focalizzando l’analisi intorno a due ordini di questioni:

In che modo si generano, nel dispiegarsi spaziale e temporale (per via di “progetto” o per via “naturale”), i rapporti e le codificazioni che fanno di un quartiere una parte viva e “integrante” del corpo urbano o una sua scheggia impazzita, un nucleo connotato e connotante o un ghetto?

In che modo nasce e si sviluppa il processo di significazione o risignificazione che contribuisce alla costruzione di un’identità condivisa (non importa di che segno) e riconosciuta come “luogo comune” della e nella città?


A questa componente più strutturata della discussione si sono però aggiunte, di volta in volta, riflessioni scaturite dallo spazio percorso, che hanno gradualmente (e forse imponderabilmente) “cucito” i singoli retroterra culturali ed esperienziali affluenti al gruppo, arricchendo e sostanziando la sua originaria ipotesi di lavoro.

Per non fare di questa pratica dello spazio una forma più sofisticata (marziana) di “turismo” e per dare più rilevanza alla componente orale-memoriale, abbiamo deciso a priori di non raccogliere alcuna forma di documentazione (audio, foto, video) dell’esperienza.


DERIVA 01 > RICADUTE DELLA PIANIFICAZIONE 1873 - 1883
la nascita dell'ICP testaccio, san saba

DERIVA 02 > PIANO SANJUST 1909 - VARIANTE
interventi ICP e INCIS piazza verbano, garbatella

DERIVA 03 > LE BORGATE UFFUCIALI PRIMA, DURANTE E DOPO GLI SVENTRAMENTI
primavalle, quarticciolo, trullo

DERIVA 04 > LA RICOSTRUZIONE - PIANI UNRRA CASAS E INA CASA
s. basilio, tiburtino, tuscolano (I, II, III)

DERIVA 05 > IL BOOM ECONOMICO TRA PIANIFICAZIONE E LOTTIZAZIONE
villaggio olimpico, decima, casal palocco


DERIVA 06 > L'INFLUENZA DEL PIANO 1962 - I PEEP (LEGGE 167)
vigne nuove, tor sapienza, spinaceto

DERIVA 07 > BORGATE DI NECESSITA' E DI SPECULAZIONE
tor de cenci, vitinia, casalotti


DERIVA 08 > LA PERIFERIA COME "OASI" POSTMODERNA
olgiata


DERIVA 09 > II PEEP
tor bella monaca


DERIVA 10 > IL NUOVO MODELLO "QUARTIERE/CENTRO COMMERCIALE"
”parco leonardo”, il quartiere “ikea” (anagnina)



LA STORIA COME STRUMENTO OPERATIVO DEL PROGETTO

La progettazione, la costruzione e la pratica della sequenza di derive, hanno confermato in noi la convinzione che la storia di un luogo, la sua genesi urbanistica e architettonica, le sue trasformazioni, il racconto (il ricordo) dei suoi vissuti, i metatesti che su di esso, eventualmente, vengono nel tempo prodotti, è e può essere un potente fattore nella costruzione o ricostruzione di un immaginario condiviso o condivisibile, da parte di chi lo abita e di chi lo vive.
In quest’ottica il gruppo di studio ha deciso di servirsi della storia e delle storie non solo come mero e freddo strumento istruttorio, ma anche e soprattutto come possibile terreno di incontro e di scambio, come un vettore in grado di rendere disponibile e permeabile, nel farsi del lavoro, il patrimonio memoriale e identitario dei singoli e delle collettività.
Le derive stesse, come altre forme più o meno “mediate” di pratica spazio-temporale (compresa la materia fotografica, cinematografica, orale, scritta), entreranno quindi a far parte integrante del workflow che i singoli progetti potranno sviluppare.
Se a Roma il concetto (gerarchizzato e gerarchizzante) di storia assume dimensioni immani quanto inibenti (andando concettualmente contro lo stesso “palinsensto” su cui ha costruito il suo splendore), crediamo che il modo migliore per sciogliere questo nodo, sia offrire un contributo capace di dimostrare che solo una sua visione dialettica e viva può salvare il centro dalla musealizzazione e la periferia dall’espiazione di un mancato (o mai perseguito) compimento.

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DALLE POETICHE ALLE PRATICHE

Attraverso la presentazione di alcuni progetti italiani ed esteri, inauguriamo il vero e proprio spirito di questo blog, che non vuole essere la vetrina autoreferenziale di un unico percorso (il nostro), peraltro appena iniziato e ancora in parte inespresso, ma un autentico osservatorio/laboratorio sulle poetiche e sulle pratiche dispiegate dalla ricerca artistica contemporanea in campo sociale.
Pensiamo questo blog come una piattaforma attiva di discussione e di rilancio della partecipazione e dell'analisi multidisciplinare della complessità urbana intese come forme "ritrovate" dell'etica e dell'ermeneutica artistica, convinti che in questo modo si possa offrire un contributo concreto e democratico alla disseminazione, alla "complicazione" e al radicamento di simili, nuove esperienze.

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6.7.08

perdersi-lab

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Il blog di Perdersi-lab è un esperimento di condivisione e riflessione collettiva voluto e messo in atto da un gruppo di studenti del corso di laurea in "Disegno industriale" della Facoltà di Architettura "Ludovico Quaroni" (La Sapienza - Roma). Perdersi-lab è uno strumento integrativo all'interno del quale converge e si confronta il lavoro e la riflessione di circa 60 persone, nell'ambito del laboratorio di "visual&graphic design 1B" (docente: Davide Franceschini), denominato appunto "perdersi". Il laboratorio interpreta la città di Roma sia come oggetto di analisi (mirata a rintracciare e sperimentare il suo complesso e stratificato sistema di codici formali ed informali), che come strumento maieutico, come “specchio”, per la verifica delle proprie modalità relazionali, conoscitive e produttive (assumendo la sua funzione di luogo dell’esistenza e del dispiegamento dell’altro-da-sé). Strumento di questo percorso di lettura e destrutturazione è una risemantizzazione della "deriva" situazionista: la "vivisezioneurbana".

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8.1.08

rossella biscotti_mental archive

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Mental Archive è un progetto che nasce da una commissione del Museum de Paviljoens e della città di Almere, in Olanda, a due artisti. Rossella Biscotti Kevin van Braak sono stati invitati a confrontarsi con un quartiere di recente costruzione alla periferia della città di Almere. Il lavoro proposto dai due artisti è stato il processo di avvicinamento al quartiere e ai suoi abitanti, e il tentativo di creare un tessuto connettivo che unisse, seppur in maniera impercettibile, le diverse storie individuali. La Municipalità di Almere, lavorando in sintonia con un Museo locale, ha così individuato nell'intervento artistico la possibilità di favorire la costruzione di un immaginario condiviso tra i cittadini.

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ROSSELLA BISCOTTI & KEVIN VAN BRAAK

MENTAL ARCHIVE

ALMERE 2006


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La serie fotografica Mental Archive è il risulto finale di un processo di conoscenza del luogo, un quartiere periferico di Almere, e dei suoi abitanti.

Mental archive e’ soprattutto il risultato di un "scambio simbolico" tra noi, me e Kevin, e gli abitanti stessi. Il termine di scambio è stato Shivren, il fratello minore di Kevin. Abbiamo chiesto ad alcune persone di dare a Shivren un’esperienza, un racconto esclusivo di vita personale, che lui avrebbe conservato e memorizzato. Passando da una casa nell’altra tra un persona all’altra, Shivren ha archiviato le storie nella sua memoria creando una rete, un collegamento sensibile e virtuale tra persone differenti. Le foto sono l’unico documento di questi incontri.

Questa storia ha ovviamente una premessa. Il progetto è nato come reazione alla struttura organizzativa del quartiere in cui siamo stati invitati a lavorare. Il quartiere offertoci offre ai suoi abitanti la più assoluta e solitaria quotidianeità. Io e Kevin abbiamo passato circa due mesi osservando la vita dei suoi abitanti, abbiamo cercato un dialogo, richiesto loro una partecipazione. Qualsiasi comunicazione è stata difficile fino a quando non abbiamo avuto l’idea di offrire Shivren, il suo tempo, la sua attenzione, in cambio di una storia. A questo punto non si trattava solo di un progetto artistico. Queste storie hanno la possibilità di influenzare l’esperienza di Shivren, assumono un importanza nel suo percorso. Per la prima volta lui si è confrontato con persone differenti, diverse classi sociali, paesi sconosciuti. Ha incontrato faccia a faccia un rapinatore di banche e un allevatore di piccioni. Ed entrambi gli hanno parlato di quello che ritenevano più importante nella loro vita, un loro dubbio, un segreto, un’ossessione. Entrambi sanno di essere legati a questo ragazzo dal preciso momento in cui gli hanno raccontato la loro storia.

Agli incontri eramo presenti io, Kevin, il fotografo Gennaro Navarra e Shivren. Kevin aveva la funzione di presentare il fratello e gestire le relazioni pre-post incontro. Io e Gennaro ci siamo occupati principalmente della documentazione. Entrambi non parliamo olandese, per questo potevamo estraniarci e guardare all’evento solo dal punto di vista visivo.

Gli scatti sono stati scelti in base alle storie personali che Shivren ci ha raccontato e alla sua reazione fisica. Le fotografie sono una traccia che abbiamo voluto costruire sia per aiutare Svhivren nel ricordarsi le storie sia per invogliare lo spettatore nell’immarginarsele. C’è una fotografia in cui Shivren ha e mani in bocca, sembra quasi stia guardando un film d’azione. Altre in cui si annoia, si stupisce, una sta quasi per piangere.

Le foto sono parte della collezione della città di Almere e del Museo De Paviljoens, che è il museo di arte contemporanea della città. Oltre a gestire la commissione e produzione del lavoro, il museo gestiste la collezione. Le varie opere possono essere esposte sia all’interno del museo che all’interno di edifici pubblici.

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fotografie di Gennaro Navarra

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3.1.08

formazero_vivisezioneurbana

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Vivisezioneurbana è per certi versi l'esperienza-ponte attraverso cui la deriva situzionista è decantata nella pratica di attraversamento che "ban[alisationdu]lieu" ha utilizzato nella fase istruttoria del progetto. Pur discostandosi per impianto metodologico e in parte per finalità, queste due filiazioni della deriva "storica" condividono in buona parte spunti teorici ed etici (oltre al medesimo oggetto di analisi: Roma). La presenza nel gruppo di studio di Davide Franceschini, fondatore del collettivo artistico formazero (insieme a Maurizio Giri e Antonio Venti), ha permesso questa osmosi, costruendo inoltre le premesse per sperimentare, in questo orizzonte di eventi, possibili forme di ibridazione e revisione critica dei ruoli del curatore e dell'artista.

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FORMAZERO

VIVISEZIONEURBANA

ROMA 2003 - in progress


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Vivisezioneurbana è un insieme di azioni analitiche programmate e potenzialmente infinite sul tessuto di Roma.

In questi progetti, a base prescrittivo-aletaoria (di derivazione cageana) e psicogeografica (di derivazione surrealista e debordiana), il corpo errante può essere indistintamente quello dell’artista o quello di altri individui, coinvolti in questo processo più come coautori/antiautori che come semplici fruitori/spettatori.
L’opera così intesa è infatti un organismo aperto che consta di due componenti autoriali distinte e cooperanti nella messa in discussione del concetto di “autorialità”:

Autorialità dell’opera/progetto:

La progettazione delle regole generali e delle motivazioni teoriche che sovraintederanno la sequenza delle azioni programmate (l’opera/progetto nel suo insieme), unita alla pianificazione delle singole esperienze di attraversamento e motivata dal programma seriale di analisi del territorio urbano (considerato, tracciato, quasi sempre su scala planimetrica);

Autorialità nell’opera/progetto
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L’esperienza stessa di ogni singola deriva, la sua documentazione e le riflessioni che scaturisce, considerate in parte come sintesi significante dell’azione e in parte come sua scoria aleatoria.

Il concetto di “scoria” è accentuato dal fatto che la documentazione della deriva è vincolata a sua volta da prescrizioni che impediscono al corpo errante di cristallizzare le sue riflessioni e la fetta di realtà investigata all’interno di un linguaggio prestrutturato, individualizzato (deplacement sia geografico che psicologico).

Questa pratica, che potremmo definire di induzione all’autorappresentazione del corpo urbano e di destrutturazione delle modalità conoscitive e produttive proprie al corpo errante, non appartenendo fino in fondo né a chi la vive né a chi la programnma, si traduce ipso facto in un lavoro collettivo dai risvolti empirici, analitici e teorici estremamente stimolanti.
Il corpo errante, nel corso della vivisezioneurbana, non attraversa lo spazio scegliendo arbitrariamente il percorso e cosa conservare di esso attraverso un processo di elezione dei sentimenti e della porzione di territorio che li stimola – meccanismo normato e reso stereotipo dalla pratica romantica del Grand Tour, matrice dei moderni intellettuale e turista – ma come oggetto cinetico portatore, oltre che di “sensibilità”, di inerzia planimetrica e di strumenti di registrazione automatici (in un grado di automatismo dettato dal loro stesso statuto tecnico/epistemologico).
In quest’ottica la ripetibilità infinita, la riproducibilità della prescrizione sul medesimo spazio, in tempi differenti, e attraverso differenti corpi erranti, rende l’esperienza stessa una variabile della ricerca, una sua verifica, appunto, e non il suo fine (rappresentato dal palinsesto di cui è parte).


Il dispositivo costruito dal nostro collettivo tende a configurarsi quindi come un’esperienza spazio-temporale (disciplinata e modulare) della materia urbana che nega, nel suo stesso dispiegarsi, una visione gerarchica e violenta dello spazio e del tempo, della storia e del territorio, cercando contemporaneamente di mettere in crisi quell’individualismo super-autoriale e sovrastrutturante – marcatamente occidentale – da cui anche la pratica artistica deve potersi affrancare, per tornare ad essere un utile agente di sviluppo sociale.

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dal 2003 ad oggi sono state messe in atto 5 vivisezioniurbane (il numero rappresenta sempre il modulo su cui viene sviluppata la prescizione):

vivisezioneurbana125
Azione disciplinata lungo le traiettorie cardinali: Pomezia-P.zza Venezia (sud), P.zza Risorgimento-Civitavecchia (ovest), P.zzle Flaminio-Civitacastellana (nord), San Lorenzo-Tivoli (est). L'azione è documentata scattando delle immagini ogni 125 secondi a destra e a sinistra dell'auto con macchinette usa e getta LOMO.
vivisezioneurbana15
Azione disciplinata (basata sul quadrato magico) e processi casuali sullo stradario di Roma finalizzati ad individuare 15 destinazioni. l'azione è documentata scattando, in ogni luogo raggiunto, 4 immagini su un unico fotogramma nelle direzioni nord-sud-est-ovest.
vivisezioneurbana60_GRA
Piano sequenza del Grande Raccordo Anulare di Roma: 60 km a 60 km/h di media.
vivisezioneurbana9_... a suivre
Azione disciplinata programmata per altri esecutori (9 gruppi da 3 persone) basata sul pedinamento di passanti a partire da Largo Argentina. 
vivisezioneurbana3_hospitality
Azione disciplinata programmata per altri esecutori (6 gruppi da 3 persone) sviluppata lungo le tratte nord, sud-ovest e sud-est della ferrovia urbana di Roma.

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