IL PROGETTO

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PRATICHE ARTISTICHE E POLITICHE DI WELFARE


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Ban[alisationdu]lieu individua nella ricerca artistica contemporanea la possibilità di agire come fattore di cambiamento sociale e promuove il coinvolgimento di artisti e ricercatori nella creazione di una rete di azioni e progetti a base locale e partecipativa, finalizzati alla costruzione o alla ricostruzione - nell'eterogenea periferia romana - degli immaginari e di un rapporto affettivo tra le persone e i luoghi.

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Partendo dall’analisi della incontrovertibilità di alcuni cambiamenti sociali incorsi nella città di Roma e dal riconoscimento di un’arte pubblica in grado di contribuire alla comprensione e alla gestione di questi sintomi, la nostra ricerca si è concentrata sulla relazione tra centro e periferia, attraverso l’ascolto della dimensione affettiva del quotidiano e della memoria del luogo.


Territorializzare le culture vuol dire scambiare e negoziare i saperi e le storie. Il locale diviene quindi il luogo della riappropriazione della libertà dell’individuo nel contesto sociale, laddove ridefinire un sistema democratico significa necessariamente adottare un linguaggio di interazione e intimo ascolto tra uomo e spazio urbano.

Il recente dibattito sulle pratiche artistiche partecipative ha sollevato diversi problemi che interrogano l’arte dal punto di vista del suo pubblico, inteso nelle sue molteplici differenze. Arte, politica e società possono cessare di essere dei concetti astratti per materializzarsi in azioni, processi e relazioni che non si fondano sul limite tra artefice e spettatore, ma costruiscono le condizioni di possibilità perché l’arte “abbia luogo”.

Un progetto che individua l’arte e la cultura come pratiche di welfare, potrebbe:
- guardare alla comunità non come un distretto, ma come collettivo di abitudini e narrazioni condivise;
- prendere in considerazione la materialità degli immaginari prodotti nel territorio, includendo le posizioni oppositive;
- immaginare e progettare strategie culturali che creino “punti per una vista” piuttosto che imporre punti di vista su astratte relazioni sociali.

La ricerca prende in esame la cultura nelle sue dinamiche di distribuzione - focalizzando l’attenzione sulla didattica e l’educazione - con riferimenti agli immaginari e al modo in cui questi si sono col tempo inscritti nel territorio.

Il progetto si propone pertanto di instaurare un dialogo che porti alla formazione di realtà culturali organiche localizzate, in grado di riunire sapere pratico e teorico, in un laboratorio di rinnovamento che parta dal basso.


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LA FASE ISTRUTTORIA DEL PROGETTO

E’ possibile pensare l’arte contemporanea come strumento euristico ed “attivo” in grado di contribuire alla creazione di una rinnovata coscienza e di un nuovo uso dello spazio pubblico?

Può il progetto culturale innestarsi strutturalmente - anche e soprattutto in una città come Roma - nell’implementazione della recente “materia urbana”, suggerendo allo stesso tempo nuove forme di relazione tra questa e la città consolidata, stratificata, “storica”?


Simili questioni (e relativi corollari) ci hanno spinto ad attivare un gruppo di studio per valutare la praticabilità di un percorso che veda la ricerca artistica e il display curatoriale, confrontarsi e dialogare “sul campo” con le politiche di welfare nel quadro di un progetto di lungo respiro mirato a proporre un modello potenzialmente replicabile (con variabili sempre specifiche e diversificate), di costruzione e ricostruzione dell’immaginario di una comunità urbana.

Per fare questo abbiamo sentito la necessità di avviare una fase “istruttoria” in grado di fornirci gli strumenti adatti ad impostare correttamente il problema.
Da un lato abbiamo quindi iniziato a studiare e ad analizzare tutte quelle esperienze che, tra ‘900 e nuovo millennio, si sono poste un analogo scopo, valutandone gli esiti, i punti di forza, le criticità.
Dall’altro abbiamo sentito l’esigenza di attraversare fisicamente il corpo urbano di Roma, nel tentativo di comprendere cosa, nello specifico del suo spazio e del suo tempo, definisce e sostanzia la dicotomia e la relazione tra centro e periferia. Come è avvenuta - o non è avvenuta - la condensazione di narrazioni condivise e quindi di “menti locali” nel corso della sua evoluzione moderna.

Alla base c’è la convinzione che nessuna risposta culturale o politica - elementi per noi intimamente interconnessi - possa prescindere dalla comprensione di ciò che la storia e la microstoria hanno innescato e innescano nell’uso e nel pensiero pubblico della città.

Capire il più profondamente possibile le dinamiche che il “progetto” produce, osservando come questo viene assecondato, piegato, negato dall’uso, ci è sembrato fosse assolutamente preliminare alla codifica di un qualsiasi possibile intervento nella congerie di complesse e stratificate dinamiche che sottendono questo moto incessante.

Il lavoro che riteniamo più arduo, ma che ci stimola a cercare possibili risposte, è infatti la messa a punto di un dispositivo relazionale multivello che conduca alla produzione e alla problematizzazione di una metodologia elastica e non-colonizzante, in grado di offrire prospettive più integranti - e quindi meno “eventuali” - alla progettazione culturale.

Attraverso il recupero di pratiche e pensieri che hanno fatto della “partecipazione” una della modalità più fertili di riappropriazione e reinvenzione dei modi d’uso e interpretazione dello spazio pubblico, crediamo che, ora più che mai, l’accesso a questo patrimonio e una sua riattualizzazione critica, sia determinante per la costruzione di un modello di città sostenibile.
E questo percorso, a Roma come altrove - ma a Roma più che altrove - non può prescindere dalla risoluzione di due nodi determinanti: una riflessione (relativamente) esaustiva che riattivi la fluidità nella relazione tra preesistenza e contemporaneità e, quindi, lo scioglimento di quei “blocchi” che, de jure e de facto, impediscono un ripensamento del rapporto tra centro e periferia.

La proposta di costruire un itinerario attraverso la storia della periferia romana, nasce dalla necessità di comprendere il senso dello sviluppo urbano e dell'immaginario che intorno ad esso si è nel tempo stratificato. E’ nostra convinzione che gran parte degli atteggiamenti che la società moderna assume nei confronti della periferia (elevata a concetto e come tale congelata, fraintesa e tradita), derivino da un'assente o superficiale conoscenza storica e materiale della sua evoluzione, dei contesti storici, sociali e culturali che l'hanno gradualmente prodotta.

Progettare un intervento nella complessità del corpo urbano, nella parte della sua materia che più si offre multiforme, viva e problematica, non può prescindere da questo studio e dalla sua verificabilità in res. E’ questa l'intuizione che ci ha spinto a costruire un itinerario selettivo quanto filologico nella genesi della Roma moderna dall'epoca post-unitaria ai giorni nostri.


LA DERIVA COME METODOLOGIA ETICA ED ERMENEUTICA

Lo strumento prescelto per sviluppare questa riflessione è stato individuato in quella che abbiamo voluto definire - sulla scia dell’esperienza situazionista - deriva (l'attenzione nella scelta e nell'utilizzo dei termini è per noi una componente metodologica strutturale e sintomatica).

« Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari. » (Guy Debord).


La deriva, all'opposto dell'esplorazione, è un modo di procedere che punta a stabilire un rapporto di intimo ascolto, alla pari, con lo spazio attraversato, un’attitudine eticamente destrutturante che si priva a priori della possibilità di sovrascrivere la realtà.

Siamo dell’idea che lo spazio urbano - e chi lo vive - non vada colonizzato dal pensiero e dalle azioni, ma attraversato consapevolmente, attentamente letto e riflettuto.

Le nostre derive sono quindi allo stesso tempo esperienza di ascolto dello spazio e momento di analisi e riflessione peripatetica sulle stesse modalità relazionali (e sentimentali) che ci legano ad esso.

Il frutto di questo procedere, lungi dal considerarsi esaustivo, rappresenta da un lato una risorsa attraverso cui il gruppo riflette e formula le sue proposte di intervento e ulteriore approfondimento, dall’altro, uno strumento di “messa in crisi” della percezione del sé e dell’altro da sé.


CRITERI DI SELEZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI "CASI STUDIO"

Il criterio di selezione dei “quartieri tipo” oggetto delle derive, è eminentemente storico.
All’interno di questo principio, abbiamo organizzato la sequenza in modo da poter generare una dialettica serrata e significante tra dimensione sincronica e dimensione diacronica.
Gli esempi selezionati rappresentano quindi (nei limiti) gli episodi più esaustivi dello zeitgeist (politico, economico, culturale) che li ha generati e più densi di implicazioni dal punto di vista storico-sociale, funzionale e formale (dimensione sincronica).

La decisione di effettuare questa serie di uscite con una cadenza settimanale (tra marzo e giugno 2007), ha d’altro canto innescato un processo “filmico” che ha messo in risonanza questi singoli brani di spazio urbano, producendo un surplus di senso e di esperienza in grado di arricchire e complicare, in itinere, l’osservazione e la riflessione (dimensione diacronica).

Alla base di questa scelta c’è l’intenzione, sin dai primi passi di una ricerca che non si vuole esaustiva ma problematica, di affrontare il rapporto centro-periferia partendo dal presupposto che è necessario pensare la periferia urbana non come una alterità opponente e minacciante l’integrità del “centro”, ma come una sua fase evolutiva e consustanziale - come un laboratorio magmatico - attraverso cui la città struttura progressivamente (attraverso modalità formali ed informali) la propria dislocazione sul territorio e la propria sopravvivenza in quanto organismo.

Leggere in termini “periferici” brani del territorio urbano che i tempi, gli usi e gli immaginari hanno materialmente e simbolicamente assimilato e reso “centrali”, è guardare alla relazione tra queste due apparenti polarità in termini “stadiali” anziché “assiali”.
Ribaltando questa prospettiva si aprono orizzonti ermeneutici ed epistemologici in grado, forse, di fluidificare le politiche di welfare e gestione del territorio, di farne vettori capaci di intrecciare e mettere a sistema livelli sin ora pericolosamente incomunicabili, quali quello sociale, urbanistico, economico e culturale. Minata la struttura binaria e gerarchica del rapporto centro-periferia, si è così in grado di porre l'accento sulla multidimensionalità della storia stessa, sottoponendone a critica fondamenti e rappresentazioni e rivalutando l'agency e il protagonismo di soggetti dei quali si sono, finora, ignorate le voci.


I "CASI STUDIO" - MODE D'EMPLOI

Attraversando fisicamente questi brani di città, abbiamo tentato di affrontarne la stratificazione e la stratigrafia, focalizzando l’analisi intorno a due ordini di questioni:

In che modo si generano, nel dispiegarsi spaziale e temporale (per via di “progetto” o per via “naturale”), i rapporti e le codificazioni che fanno di un quartiere una parte viva e “integrante” del corpo urbano o una sua scheggia impazzita, un nucleo connotato e connotante o un ghetto?

In che modo nasce e si sviluppa il processo di significazione o risignificazione che contribuisce alla costruzione di un’identità condivisa (non importa di che segno) e riconosciuta come “luogo comune” della e nella città?


A questa componente più strutturata della discussione si sono però aggiunte, di volta in volta, riflessioni scaturite dallo spazio percorso, che hanno gradualmente (e forse imponderabilmente) “cucito” i singoli retroterra culturali ed esperienziali affluenti al gruppo, arricchendo e sostanziando la sua originaria ipotesi di lavoro.

Per non fare di questa pratica dello spazio una forma più sofisticata (marziana) di “turismo” e per dare più rilevanza alla componente orale-memoriale, abbiamo deciso a priori di non raccogliere alcuna forma di documentazione (audio, foto, video) dell’esperienza.


DERIVA 01 > RICADUTE DELLA PIANIFICAZIONE 1873 - 1883
la nascita dell'ICP testaccio, san saba

DERIVA 02 > PIANO SANJUST 1909 - VARIANTE
interventi ICP e INCIS piazza verbano, garbatella

DERIVA 03 > LE BORGATE UFFUCIALI PRIMA, DURANTE E DOPO GLI SVENTRAMENTI
primavalle, quarticciolo, trullo

DERIVA 04 > LA RICOSTRUZIONE - PIANI UNRRA CASAS E INA CASA
s. basilio, tiburtino, tuscolano (I, II, III)

DERIVA 05 > IL BOOM ECONOMICO TRA PIANIFICAZIONE E LOTTIZAZIONE
villaggio olimpico, decima, casal palocco


DERIVA 06 > L'INFLUENZA DEL PIANO 1962 - I PEEP (LEGGE 167)
vigne nuove, tor sapienza, spinaceto

DERIVA 07 > BORGATE DI NECESSITA' E DI SPECULAZIONE
tor de cenci, vitinia, casalotti


DERIVA 08 > LA PERIFERIA COME "OASI" POSTMODERNA
olgiata


DERIVA 09 > II PEEP
tor bella monaca


DERIVA 10 > IL NUOVO MODELLO "QUARTIERE/CENTRO COMMERCIALE"
”parco leonardo”, il quartiere “ikea” (anagnina)



LA STORIA COME STRUMENTO OPERATIVO DEL PROGETTO

La progettazione, la costruzione e la pratica della sequenza di derive, hanno confermato in noi la convinzione che la storia di un luogo, la sua genesi urbanistica e architettonica, le sue trasformazioni, il racconto (il ricordo) dei suoi vissuti, i metatesti che su di esso, eventualmente, vengono nel tempo prodotti, è e può essere un potente fattore nella costruzione o ricostruzione di un immaginario condiviso o condivisibile, da parte di chi lo abita e di chi lo vive.
In quest’ottica il gruppo di studio ha deciso di servirsi della storia e delle storie non solo come mero e freddo strumento istruttorio, ma anche e soprattutto come possibile terreno di incontro e di scambio, come un vettore in grado di rendere disponibile e permeabile, nel farsi del lavoro, il patrimonio memoriale e identitario dei singoli e delle collettività.
Le derive stesse, come altre forme più o meno “mediate” di pratica spazio-temporale (compresa la materia fotografica, cinematografica, orale, scritta), entreranno quindi a far parte integrante del workflow che i singoli progetti potranno sviluppare.
Se a Roma il concetto (gerarchizzato e gerarchizzante) di storia assume dimensioni immani quanto inibenti (andando concettualmente contro lo stesso “palinsensto” su cui ha costruito il suo splendore), crediamo che il modo migliore per sciogliere questo nodo, sia offrire un contributo capace di dimostrare che solo una sua visione dialettica e viva può salvare il centro dalla musealizzazione e la periferia dall’espiazione di un mancato (o mai perseguito) compimento.

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DALLE POETICHE ALLE PRATICHE

Attraverso la presentazione di alcuni progetti italiani ed esteri, inauguriamo il vero e proprio spirito di questo blog, che non vuole essere la vetrina autoreferenziale di un unico percorso (il nostro), peraltro appena iniziato e ancora in parte inespresso, ma un autentico osservatorio/laboratorio sulle poetiche e sulle pratiche dispiegate dalla ricerca artistica contemporanea in campo sociale.
Pensiamo questo blog come una piattaforma attiva di discussione e di rilancio della partecipazione e dell'analisi multidisciplinare della complessità urbana intese come forme "ritrovate" dell'etica e dell'ermeneutica artistica, convinti che in questo modo si possa offrire un contributo concreto e democratico alla disseminazione, alla "complicazione" e al radicamento di simili, nuove esperienze.

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6.7.08

perdersi-lab

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Il blog di Perdersi-lab è un esperimento di condivisione e riflessione collettiva voluto e messo in atto da un gruppo di studenti del corso di laurea in "Disegno industriale" della Facoltà di Architettura "Ludovico Quaroni" (La Sapienza - Roma). Perdersi-lab è uno strumento integrativo all'interno del quale converge e si confronta il lavoro e la riflessione di circa 60 persone, nell'ambito del laboratorio di "visual&graphic design 1B" (docente: Davide Franceschini), denominato appunto "perdersi". Il laboratorio interpreta la città di Roma sia come oggetto di analisi (mirata a rintracciare e sperimentare il suo complesso e stratificato sistema di codici formali ed informali), che come strumento maieutico, come “specchio”, per la verifica delle proprie modalità relazionali, conoscitive e produttive (assumendo la sua funzione di luogo dell’esistenza e del dispiegamento dell’altro-da-sé). Strumento di questo percorso di lettura e destrutturazione è una risemantizzazione della "deriva" situazionista: la "vivisezioneurbana".

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8.1.08

rossella biscotti_mental archive

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Mental Archive è un progetto che nasce da una commissione del Museum de Paviljoens e della città di Almere, in Olanda, a due artisti. Rossella Biscotti Kevin van Braak sono stati invitati a confrontarsi con un quartiere di recente costruzione alla periferia della città di Almere. Il lavoro proposto dai due artisti è stato il processo di avvicinamento al quartiere e ai suoi abitanti, e il tentativo di creare un tessuto connettivo che unisse, seppur in maniera impercettibile, le diverse storie individuali. La Municipalità di Almere, lavorando in sintonia con un Museo locale, ha così individuato nell'intervento artistico la possibilità di favorire la costruzione di un immaginario condiviso tra i cittadini.

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ROSSELLA BISCOTTI & KEVIN VAN BRAAK

MENTAL ARCHIVE

ALMERE 2006


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La serie fotografica Mental Archive è il risulto finale di un processo di conoscenza del luogo, un quartiere periferico di Almere, e dei suoi abitanti.

Mental archive e’ soprattutto il risultato di un "scambio simbolico" tra noi, me e Kevin, e gli abitanti stessi. Il termine di scambio è stato Shivren, il fratello minore di Kevin. Abbiamo chiesto ad alcune persone di dare a Shivren un’esperienza, un racconto esclusivo di vita personale, che lui avrebbe conservato e memorizzato. Passando da una casa nell’altra tra un persona all’altra, Shivren ha archiviato le storie nella sua memoria creando una rete, un collegamento sensibile e virtuale tra persone differenti. Le foto sono l’unico documento di questi incontri.

Questa storia ha ovviamente una premessa. Il progetto è nato come reazione alla struttura organizzativa del quartiere in cui siamo stati invitati a lavorare. Il quartiere offertoci offre ai suoi abitanti la più assoluta e solitaria quotidianeità. Io e Kevin abbiamo passato circa due mesi osservando la vita dei suoi abitanti, abbiamo cercato un dialogo, richiesto loro una partecipazione. Qualsiasi comunicazione è stata difficile fino a quando non abbiamo avuto l’idea di offrire Shivren, il suo tempo, la sua attenzione, in cambio di una storia. A questo punto non si trattava solo di un progetto artistico. Queste storie hanno la possibilità di influenzare l’esperienza di Shivren, assumono un importanza nel suo percorso. Per la prima volta lui si è confrontato con persone differenti, diverse classi sociali, paesi sconosciuti. Ha incontrato faccia a faccia un rapinatore di banche e un allevatore di piccioni. Ed entrambi gli hanno parlato di quello che ritenevano più importante nella loro vita, un loro dubbio, un segreto, un’ossessione. Entrambi sanno di essere legati a questo ragazzo dal preciso momento in cui gli hanno raccontato la loro storia.

Agli incontri eramo presenti io, Kevin, il fotografo Gennaro Navarra e Shivren. Kevin aveva la funzione di presentare il fratello e gestire le relazioni pre-post incontro. Io e Gennaro ci siamo occupati principalmente della documentazione. Entrambi non parliamo olandese, per questo potevamo estraniarci e guardare all’evento solo dal punto di vista visivo.

Gli scatti sono stati scelti in base alle storie personali che Shivren ci ha raccontato e alla sua reazione fisica. Le fotografie sono una traccia che abbiamo voluto costruire sia per aiutare Svhivren nel ricordarsi le storie sia per invogliare lo spettatore nell’immarginarsele. C’è una fotografia in cui Shivren ha e mani in bocca, sembra quasi stia guardando un film d’azione. Altre in cui si annoia, si stupisce, una sta quasi per piangere.

Le foto sono parte della collezione della città di Almere e del Museo De Paviljoens, che è il museo di arte contemporanea della città. Oltre a gestire la commissione e produzione del lavoro, il museo gestiste la collezione. Le varie opere possono essere esposte sia all’interno del museo che all’interno di edifici pubblici.

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fotografie di Gennaro Navarra

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3.1.08

formazero_vivisezioneurbana

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Vivisezioneurbana è per certi versi l'esperienza-ponte attraverso cui la deriva situzionista è decantata nella pratica di attraversamento che "ban[alisationdu]lieu" ha utilizzato nella fase istruttoria del progetto. Pur discostandosi per impianto metodologico e in parte per finalità, queste due filiazioni della deriva "storica" condividono in buona parte spunti teorici ed etici (oltre al medesimo oggetto di analisi: Roma). La presenza nel gruppo di studio di Davide Franceschini, fondatore del collettivo artistico formazero (insieme a Maurizio Giri e Antonio Venti), ha permesso questa osmosi, costruendo inoltre le premesse per sperimentare, in questo orizzonte di eventi, possibili forme di ibridazione e revisione critica dei ruoli del curatore e dell'artista.

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FORMAZERO

VIVISEZIONEURBANA

ROMA 2003 - in progress


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Vivisezioneurbana è un insieme di azioni analitiche programmate e potenzialmente infinite sul tessuto di Roma.

In questi progetti, a base prescrittivo-aletaoria (di derivazione cageana) e psicogeografica (di derivazione surrealista e debordiana), il corpo errante può essere indistintamente quello dell’artista o quello di altri individui, coinvolti in questo processo più come coautori/antiautori che come semplici fruitori/spettatori.
L’opera così intesa è infatti un organismo aperto che consta di due componenti autoriali distinte e cooperanti nella messa in discussione del concetto di “autorialità”:

Autorialità dell’opera/progetto:

La progettazione delle regole generali e delle motivazioni teoriche che sovraintederanno la sequenza delle azioni programmate (l’opera/progetto nel suo insieme), unita alla pianificazione delle singole esperienze di attraversamento e motivata dal programma seriale di analisi del territorio urbano (considerato, tracciato, quasi sempre su scala planimetrica);

Autorialità nell’opera/progetto
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L’esperienza stessa di ogni singola deriva, la sua documentazione e le riflessioni che scaturisce, considerate in parte come sintesi significante dell’azione e in parte come sua scoria aleatoria.

Il concetto di “scoria” è accentuato dal fatto che la documentazione della deriva è vincolata a sua volta da prescrizioni che impediscono al corpo errante di cristallizzare le sue riflessioni e la fetta di realtà investigata all’interno di un linguaggio prestrutturato, individualizzato (deplacement sia geografico che psicologico).

Questa pratica, che potremmo definire di induzione all’autorappresentazione del corpo urbano e di destrutturazione delle modalità conoscitive e produttive proprie al corpo errante, non appartenendo fino in fondo né a chi la vive né a chi la programnma, si traduce ipso facto in un lavoro collettivo dai risvolti empirici, analitici e teorici estremamente stimolanti.
Il corpo errante, nel corso della vivisezioneurbana, non attraversa lo spazio scegliendo arbitrariamente il percorso e cosa conservare di esso attraverso un processo di elezione dei sentimenti e della porzione di territorio che li stimola – meccanismo normato e reso stereotipo dalla pratica romantica del Grand Tour, matrice dei moderni intellettuale e turista – ma come oggetto cinetico portatore, oltre che di “sensibilità”, di inerzia planimetrica e di strumenti di registrazione automatici (in un grado di automatismo dettato dal loro stesso statuto tecnico/epistemologico).
In quest’ottica la ripetibilità infinita, la riproducibilità della prescrizione sul medesimo spazio, in tempi differenti, e attraverso differenti corpi erranti, rende l’esperienza stessa una variabile della ricerca, una sua verifica, appunto, e non il suo fine (rappresentato dal palinsesto di cui è parte).


Il dispositivo costruito dal nostro collettivo tende a configurarsi quindi come un’esperienza spazio-temporale (disciplinata e modulare) della materia urbana che nega, nel suo stesso dispiegarsi, una visione gerarchica e violenta dello spazio e del tempo, della storia e del territorio, cercando contemporaneamente di mettere in crisi quell’individualismo super-autoriale e sovrastrutturante – marcatamente occidentale – da cui anche la pratica artistica deve potersi affrancare, per tornare ad essere un utile agente di sviluppo sociale.

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dal 2003 ad oggi sono state messe in atto 5 vivisezioniurbane (il numero rappresenta sempre il modulo su cui viene sviluppata la prescizione):

vivisezioneurbana125
Azione disciplinata lungo le traiettorie cardinali: Pomezia-P.zza Venezia (sud), P.zza Risorgimento-Civitavecchia (ovest), P.zzle Flaminio-Civitacastellana (nord), San Lorenzo-Tivoli (est). L'azione è documentata scattando delle immagini ogni 125 secondi a destra e a sinistra dell'auto con macchinette usa e getta LOMO.
vivisezioneurbana15
Azione disciplinata (basata sul quadrato magico) e processi casuali sullo stradario di Roma finalizzati ad individuare 15 destinazioni. l'azione è documentata scattando, in ogni luogo raggiunto, 4 immagini su un unico fotogramma nelle direzioni nord-sud-est-ovest.
vivisezioneurbana60_GRA
Piano sequenza del Grande Raccordo Anulare di Roma: 60 km a 60 km/h di media.
vivisezioneurbana9_... a suivre
Azione disciplinata programmata per altri esecutori (9 gruppi da 3 persone) basata sul pedinamento di passanti a partire da Largo Argentina. 
vivisezioneurbana3_hospitality
Azione disciplinata programmata per altri esecutori (6 gruppi da 3 persone) sviluppata lungo le tratte nord, sud-ovest e sud-est della ferrovia urbana di Roma.

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11.12.07

1:1 projects London_we sell boxes we buy gold

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WE SELL BOXES WE BUY GOLD è un progetto in progress, partito dall’analisi di una porzione della città di Londra sospesa tra passato e futuro. E’ un progetto che analizza il processo di gentrificazione proprio nel momento in cui esso investe un intero quartiere. E’ una chiamata alla responsabilità da parte dei cittadini nell’interrogare lo spazio pubblico, e offre come strumenti d’indagine e di critica quelli della poesia, dell’arte e della cultura.

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1:1 PROJECTS LONDON

WE SELL BOXES WE BUY GOLD

LONDRA 2007


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WE SELL BOXES WE BUY GOLD è un progetto che ha visto la collaborazione di due curatrici Lucia Farinati e Louise Garrett, gli artisti Richard Crow e Alberto Duman e la ricercatrice urbana e poeta Jude Rosen. Il progetto considera l’area che ospiterà le Olimpiadi del 2012 e la zona della Lea Valley, tradizionalmente abitate da immigrati e dalla classe operaia e adesso sottoposte a spinte gentrificatrici e alla speculazione, come contesto per una azione artistica e di ricerca.

WE SELL BOXES WE BUY GOLD esplora le possibili interpretazioni e storie di questa zona di Londra, usando una metodologia di indagine interdisciplinare, critica e aperta e che vede la collaborazione del gruppo con altri professionisti, accademici, architetti, ambientalisti, sociologi urbani, rappresentati di gruppi di pressione locali ed ex residenti.


Riscrivendo lo spazio attraverso riflessioni e voci diverse, cerchiamo di creare una rete di relazioni in un luogo sospeso tra passato e futuro.


Il progetto ha avuto inizio nella primavera del 2007 con una serie di derive e di incontri informali all’interno e intorno all’area designata per le Olimpiadi, con il fine di provocare la costituzione di uno spazio per la produzione di saperi condivisi nell’analisi di aree contestate e di zone in trasformazione della città contemporanea.

boxesforgold.blogspot.com

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Stuart Brisley_Peterlee project

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Peterlee Project ha avuto una gestazione lunghissima nel tempo, infatti dopo una prima fase iniziata nel 1976, è stato portato a compimento e ulteriormente ampliato lo scorso anno. Il progetto dell’artista Stuart Briesley ha coinvolto l’intera comunità di una città di nuova fondazione del Nord Est dell’Inghilterra. E’ una delle opere partecipate più ambiziose ad oggi, e sicuramente la prima ad essere stata realizzata su questa scala.
Soprattutto ci interessa la struttura che ha reso possible l’operazione: negli anni Settanta in Inghilterra era stata sperimentata una forma di collaborazione tra dipartimenti comunali e artisti con il fine di inserire le pratiche artistiche all’interno delle politiche di welfare.

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STUART BRISLEY + UNIVERSITY OF SUNDERLAND + TIM BRENNAN

PETERLEE PROJECT

PETERLEE 1976 - 2004

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Nel 1976 Stuart Brisley fu invitato come artista in residenza della nuova città di Peterlee, e iniziò a lavorare a quello che è stato uno delle prime opere partecipate di arte contemporanea a coinvolgere l’ampio pubblico. Dopo 28 anni il progetto è stato riattivato e proseguirà attraverso la collaborazione tra l’artista, la cittadina e l’Università di Sunderland.

Negli anni Settanta in Inghilterra, in seguito ad una proposta dell’Artist Placement Group, network di artisti di cui Brisely faceva parte, le amministrazioni e gli uffici municipali e comunali convertirono la legge che prevede di impiegare una percentuale del budget per la costruzione di un edificio pubblico ad un’opera d’arte, scegliendo di usare la stessa cifra per valersi della presenza di un artista all’interno della propria struttura, per una durata di un anno, con l’obiettivo di sviluppare insieme una serie di programmi culturali che avessero migliore ricaduta sul territorio e sul tessuto di relazioni tra persone. In questo caso quindi, il Comune di Peterlee stipulava con l’artista un contratto regolare, al termine del quale sarebbe stato consegnato un progetto.

La nuova città di Peterlee era stata costruita in risposta all’emergenza abitativa che aveva seguito la Seconda Guerra Mondiale in Inghilterra, e la chiusura di alcune miniere della zona e il conseguente abbandono dei limitrofi villaggi dei minatori. Peterlee venne pensata come un gioiello dell’architettura modernista e vi lavorarono infatti alcuni degli architetti e scultori più importanti del periodo.

Nell’affrontare un progetto in una città di nuova fondazione, Stuart Brisley fu attratto dalle implicazioni che potevano emergere nel creare un archivio di Peterlee costruito attraverso le memorie dei suoi abitanti. L’intera città venne coinvolta e furono intervistate migliaia di cittadini. Di fatto, l’archivio di Peterlee racconta dei villaggi abbandonati da cui i nuovi residenti di Peterlee provenivano, e cucendo le diverse storie, contribuiva a creare una identità di luogo condivisa.

Fotografie, registrazioni audio, oggetti personali vennero raccolti e andarono a costituire una collezione che non ha precedenti e pari sulla cultura del Nord-Est dell’Inghilterra.
Purtroppo per un disaccordo tra l’Easington District Council e Stuart Brisley, il progetto non fu portato a compimento: l’archivio non trovò una sua sede pubblica e giacque dimenticato per anni in un ufficio municipale, invisibile e inutilizzato.

Ora Stuart Brisley, in collaborazione con l’Università di Sunderland’s e l’artista Tim Brennan hanno ripreso in mano il Peterlee Project. La prima fase della sua riattivazione consiste nella esposizione al pubblico dei materiali raccolti nell’archivio. Seguiranno una serie di incontri e conferenze tenuti da Stuart Brisley, da storici locali, da rappresentanti nell’Unione Nazionale Minatori e Donne Contro la Chiusura delle Miniere. Queste discussioni pubbliche e le ricerche condotte parallelamente alla presentazione del materiale d’archivio culmineranno nella presentazione di Peterlee Project, Una Proposta per il Futuro, che prevede una nuova serie di interviste agli abitanti di quella città che ora ha certamente una diversa identità.

Stuart Brisley è fino dagli anni Sessanta uno degli artisti più importanti nell’ambito della performance.

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Wolfgang Berkowski_meno e più 3

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Invitato a partecipare ad un concorso di architettura dallo studio romano Scape, l’artista tedesco Wolfgang Berkowski, residente a Roma da diversi anni, ha rilevato nel quartiere residenziale dell’Olgiata esattamente lo stesso tipo di problematiche con cui solitamente viene stigmatizzata la periferia: mancanza di servizi, di sicurezza, e sopratutto di spazi di relazione. Per trasformare un luogo in una comunità viva, Berkowski propone una serie di spazi multifunzionali dei cui usi e della cui manutenzione sono responsabili gli abitanti del quartiere. Attraverso la cura si creano relazioni, dialogo, e narrazioni condivise.

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WOLFGANG BERKOWSKI

MENO E PIU' 3

ROMA 2007

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Semplici forme geometriche vengono distribuite sulla superficie del parco, di notte si illuminano dando orientamento a chi lo percorre, di giorno le sculture si aprono e cambiano funzione, trasformandosi in padiglioni a disposizione della comunità locale, a cui è lasciato anche il compito di interpretarne l’uso a seconda delle necessità e desideri.


Propongo tre strutture:

un padiglione per i bambini, un parco giochi al coperto che può cambiare forma a seconda delle loro attività e che offre spazi al coperto e all’aria aperta e un riparo dal sole o dalla pioggia.
Un secondo padiglione ospita una collezione di libri ad uso pubblico, creata attraverso le donazioni degli abitanti di quartiere. La struttura, una volta aperta, cambia forma e fornisce ombra e riparo. Il terzo padiglione ha una forma ovale e può essere aperta in diverse maniere, in modo da essere usata come palco per una recita, sala prove per la musica e altre attività.
L’opera è completa solo attraverso l’uso e la destinazione determinati dalla comunità locale, e vuole essere un elemento funzionale nella creazione di quel ‘noi’ che è alla base di una vera realtà di quartiere attraverso l’offerta di spazi comuni dove la comunità locale può incontrarsi e fare insieme delle cose.

L’edilizia popolare a Roma, dai primi quartieri fondati fuori dalle mura Aureliane fino a quelli del primo Piano di Edilizia Economica e Popolare (PEEP I) costruiti a cavallo tra Sessanta e Settanta, è sempre stata caratterizzata dalla presenza strutturale (spesso in forma di “spina” posta al centro dell’abitato) di servizi e spazi per l’uso comune e per l’incontro. Questi luoghi comuni contenevano la lavanderia e l’asilo per i bambini nei quartieri realizzati grossomodo entro la prima metà del secolo, teatri o spazi per la cultura e servizi al cittadino fino agli anni Settanta.
Al termine di questo periodo, e soprattutto se consideriamo i quartieri costruiti negli ultimi venticinque anni, questi luoghi cominciano ad atrofizzarsi e a mutare geneticamente (fino a raggiungere la forma/funzione del centro commerciale), segnando un cambiamento sintomatico ed epocale: il passaggio da una cultura pubblica al puro interesse (speculativo) privato.
Il progetto cerca di recuperare in forma artistica ciò che rimane di questa erosione, e lo reinterpreta in maniera attuale nell’ottica delle politiche partecipative.

I tre padiglioni sono da un lato vere sculture che rimandano al linguaggio del minimalismo, dall’altro hanno una funzione: sono indicatori spaziali e danno luce, di notte; di giorno sono spazi a disposizione della comunità che vivrà nel nuovo quartiere, che ne deciderà la destinazione e avrà cura di renderli vivi e funzionanti. Questa fase di auto-organizzazione non verrà lasciata alla sola iniziativa dei cittadini, ma vedrà l’artista collaborare con gli abitanti del quartiere alla “messa in opera” dei padiglioni, della determinazione della sua funzione e del suo uso.

All’interno delle politiche di partecipazione un fattore determinante è infatti la comprensione che ogni comunità di quartiere ha le sue specificità, immaginari e desideri. L’artista coinvolto in un progetto partecipativo si fa interprete delle necessità della comunità, ne diventa parte e accompagna il progetto perché questi spazi divengano realmente comuni e funzionali al nuovo quartiere.

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Scape - studio di architettura
Concorso per asilo nido e scuola materna,
aree verdi attrezzate, parcheggi pubblici - Olgiata


Esito: gruppo ammesso alla seconda fase
Ente banditore: Comune di Roma
Con: Wofgang Berkowski (artista); Margherita Salvadori (pedagoga);
Letizia Carpi (paesaggista)

Superficie lorda edificio: 4100m2
Scuola materna: 1485m2
Asilo nido: 1300m2
Parcheggi del complesso scolastico: 1010m2
Parcheggi di pertinenza della stazione: 4265m2
Parco: 26850m2
Giardino complesso scolastico: 3885m2
Importo previsto: 5.2M euro

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8.12.07

Marinella Senatore_Horizontes de sucesos

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Marinella Senatore è un’artista che lavora con il video, l’installazione e il suono. Ha realizzato un film adottando una modalità partecipata estesa a tutte le fasi: dall’ideazione – la sceneggiatura del film è stata scritta collettivamente – alla realizzazione tecnica – il cast tecnico e artistico era interamente composto di non professionisti –, e infine alla produzione: ciascun abitante della cittadina di Cuenca ha contribuito con un euro, e il titolo del film è stato poi scelto proprio dai produttori. Il progetto ha avuto una importante ricaduta sulla città, la stampa nazionale ha infatti seguito con interesse l’operazione e il film è stato proiettato in varie sale in Spagna, oltre ad essere stato presentato nel circuito espositivo internazionale.

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MARINELLA SENATORE

HORIZONTES DE SUCESOS

ESP-2007, HDV, col, st, 1h

CUENCA (CASTILLA-LA MANCHA) 2007

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Il progetto Horizonte de Sucesos, vede nella realizzazione di un lungometraggio a soggetto, della durata di 1h solo la sua fase conclusiva; nel corso di circa 5 mesi, gli studenti di una facoltà d’arte spagnola (campus di Cuenca,Castilla-La Mancha) sono stati coinvolti nell’ambito del corso di sceneggiatura e video, nella ideaizone di un progetto più ampio, che partendo dalla scrittura e dagli elementi del linguaggio cinematografico, oggetto del loro studio, si aprisse alla comunità in maniera forte e secondo uno scambio reale. In questo senso le molte riflessioni che la critica sociale e artistica compie in Spagna ormai da diversi anni, e che portano molti operatori, ricercatori e studenti del settore ad analizzare, sono le modalità di coinvolgimento del pubblico, la questione aperta e in continuo sviluppo, dell’arte nello spazio pubblico, etc.


In una prima fase, quella della scrittura dei soggetti che sarebbero poi stati messi in scena, con gli studenti, circa 70, si voleva fortemente come coinvolgere la comunità di una cittadina motlo piccola, che però vive un flusso continuo di persone provenienti da altri punti del paese, in quanto l’università attira per le sue offerte didattiche piuttosto specifiche, molti alunni, vedendo realizzata una evidentisisma frattura di tipo sociale che da una parte ha i cittadini conchensi generazionalmente molto distanti dagli studenti e questi ultimi, piuttosto separati dal tessuto sociale nel quale poi si trovano a vivere durante alcuni anni.


In questo senso la città e la sua conformazione sociale offrivano un campo interessantissimo di intervento, le radio, tv locali e i giornali hanno accolto con molta disponibilitò la proposta di divulgare in un primo momento solo l’appuntamento per un casting popolare (realizzato nel mese di gennaio 2007, al quale parteciparono oltre 300 cittadini, delle diverse età) e in una seconda fase la divulgazione della campagna UN EURO PARA SER PRODUCTOR, che ha permesso concretamente la relaizzazione delle riprese.


L’idea di coinvolgere non-professionisti avrebbe infatti permesso un afflusso di perosne dalla più diversa formaizone e l’immaginairo del cinema, da sempre affascinante e attraente, ha effettivamente visto un entusiasmo e una partecipazione anche solo come spettatori, ai casting di tipo massivo Non solo cittadini di Cuenca, ma anche stranieri in vacanza, cittadini spagnoli provenienti da altre comunità autonome spagnole, anche geograficamente piuttosto distanti da Castilla-La Mancha (Barcelona, Asturia, Comunidad de Madrid , Comunidad Valenciana, ecc.).


I cittadini manceghi inoltre hanno collaborato con la troupe in maniera etsensa e piuttosto diversificata: dalla sarta locale che forniva tessuti, a tassisti che effettuavano trasporti gratuitamente, ad istituti estetici e acconciatori locali che si offrivano di preparare gli attori ogni mattina, prima dell’inizio delle riprese. Durante le riprese inoltre, un bollettino radiofonico e i giornali locali, indicavano allla comunità dove si svolgevano le riprese che erano tutte rigorasamente aperte al pubblico.


Nella fase finale del monbtagigok, ai cittaidni produttori, che avevano versato un euro in un conto bancario (nella banca di castilla-la mancha peraltro) speciale aperto appositamente fu chiesto di scegliere un titolo per il loro film; giunsero in università centinaia di proposte via fax, internet e posta: fu scelto HORIZONTE DE SUCESOS, perchè agli alunni sembrò una metafora molto interessante per descirvere le storie corali che formano poi il soggetto del film, in quanto questa definizione venga utilizzata dai fisici per descrivere la zona che circonda i buchi neri, una linea, un orizzonte appunto, immaignairo, passato il quale tuttte le consuete leggi della realtà conoscibile non hanno più una norma.


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