IL PROGETTO

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PRATICHE ARTISTICHE E POLITICHE DI WELFARE


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Ban[alisationdu]lieu individua nella ricerca artistica contemporanea la possibilità di agire come fattore di cambiamento sociale e promuove il coinvolgimento di artisti e ricercatori nella creazione di una rete di azioni e progetti a base locale e partecipativa, finalizzati alla costruzione o alla ricostruzione - nell'eterogenea periferia romana - degli immaginari e di un rapporto affettivo tra le persone e i luoghi.

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Partendo dall’analisi della incontrovertibilità di alcuni cambiamenti sociali incorsi nella città di Roma e dal riconoscimento di un’arte pubblica in grado di contribuire alla comprensione e alla gestione di questi sintomi, la nostra ricerca si è concentrata sulla relazione tra centro e periferia, attraverso l’ascolto della dimensione affettiva del quotidiano e della memoria del luogo.


Territorializzare le culture vuol dire scambiare e negoziare i saperi e le storie. Il locale diviene quindi il luogo della riappropriazione della libertà dell’individuo nel contesto sociale, laddove ridefinire un sistema democratico significa necessariamente adottare un linguaggio di interazione e intimo ascolto tra uomo e spazio urbano.

Il recente dibattito sulle pratiche artistiche partecipative ha sollevato diversi problemi che interrogano l’arte dal punto di vista del suo pubblico, inteso nelle sue molteplici differenze. Arte, politica e società possono cessare di essere dei concetti astratti per materializzarsi in azioni, processi e relazioni che non si fondano sul limite tra artefice e spettatore, ma costruiscono le condizioni di possibilità perché l’arte “abbia luogo”.

Un progetto che individua l’arte e la cultura come pratiche di welfare, potrebbe:
- guardare alla comunità non come un distretto, ma come collettivo di abitudini e narrazioni condivise;
- prendere in considerazione la materialità degli immaginari prodotti nel territorio, includendo le posizioni oppositive;
- immaginare e progettare strategie culturali che creino “punti per una vista” piuttosto che imporre punti di vista su astratte relazioni sociali.

La ricerca prende in esame la cultura nelle sue dinamiche di distribuzione - focalizzando l’attenzione sulla didattica e l’educazione - con riferimenti agli immaginari e al modo in cui questi si sono col tempo inscritti nel territorio.

Il progetto si propone pertanto di instaurare un dialogo che porti alla formazione di realtà culturali organiche localizzate, in grado di riunire sapere pratico e teorico, in un laboratorio di rinnovamento che parta dal basso.


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LA FASE ISTRUTTORIA DEL PROGETTO

E’ possibile pensare l’arte contemporanea come strumento euristico ed “attivo” in grado di contribuire alla creazione di una rinnovata coscienza e di un nuovo uso dello spazio pubblico?

Può il progetto culturale innestarsi strutturalmente - anche e soprattutto in una città come Roma - nell’implementazione della recente “materia urbana”, suggerendo allo stesso tempo nuove forme di relazione tra questa e la città consolidata, stratificata, “storica”?


Simili questioni (e relativi corollari) ci hanno spinto ad attivare un gruppo di studio per valutare la praticabilità di un percorso che veda la ricerca artistica e il display curatoriale, confrontarsi e dialogare “sul campo” con le politiche di welfare nel quadro di un progetto di lungo respiro mirato a proporre un modello potenzialmente replicabile (con variabili sempre specifiche e diversificate), di costruzione e ricostruzione dell’immaginario di una comunità urbana.

Per fare questo abbiamo sentito la necessità di avviare una fase “istruttoria” in grado di fornirci gli strumenti adatti ad impostare correttamente il problema.
Da un lato abbiamo quindi iniziato a studiare e ad analizzare tutte quelle esperienze che, tra ‘900 e nuovo millennio, si sono poste un analogo scopo, valutandone gli esiti, i punti di forza, le criticità.
Dall’altro abbiamo sentito l’esigenza di attraversare fisicamente il corpo urbano di Roma, nel tentativo di comprendere cosa, nello specifico del suo spazio e del suo tempo, definisce e sostanzia la dicotomia e la relazione tra centro e periferia. Come è avvenuta - o non è avvenuta - la condensazione di narrazioni condivise e quindi di “menti locali” nel corso della sua evoluzione moderna.

Alla base c’è la convinzione che nessuna risposta culturale o politica - elementi per noi intimamente interconnessi - possa prescindere dalla comprensione di ciò che la storia e la microstoria hanno innescato e innescano nell’uso e nel pensiero pubblico della città.

Capire il più profondamente possibile le dinamiche che il “progetto” produce, osservando come questo viene assecondato, piegato, negato dall’uso, ci è sembrato fosse assolutamente preliminare alla codifica di un qualsiasi possibile intervento nella congerie di complesse e stratificate dinamiche che sottendono questo moto incessante.

Il lavoro che riteniamo più arduo, ma che ci stimola a cercare possibili risposte, è infatti la messa a punto di un dispositivo relazionale multivello che conduca alla produzione e alla problematizzazione di una metodologia elastica e non-colonizzante, in grado di offrire prospettive più integranti - e quindi meno “eventuali” - alla progettazione culturale.

Attraverso il recupero di pratiche e pensieri che hanno fatto della “partecipazione” una della modalità più fertili di riappropriazione e reinvenzione dei modi d’uso e interpretazione dello spazio pubblico, crediamo che, ora più che mai, l’accesso a questo patrimonio e una sua riattualizzazione critica, sia determinante per la costruzione di un modello di città sostenibile.
E questo percorso, a Roma come altrove - ma a Roma più che altrove - non può prescindere dalla risoluzione di due nodi determinanti: una riflessione (relativamente) esaustiva che riattivi la fluidità nella relazione tra preesistenza e contemporaneità e, quindi, lo scioglimento di quei “blocchi” che, de jure e de facto, impediscono un ripensamento del rapporto tra centro e periferia.

La proposta di costruire un itinerario attraverso la storia della periferia romana, nasce dalla necessità di comprendere il senso dello sviluppo urbano e dell'immaginario che intorno ad esso si è nel tempo stratificato. E’ nostra convinzione che gran parte degli atteggiamenti che la società moderna assume nei confronti della periferia (elevata a concetto e come tale congelata, fraintesa e tradita), derivino da un'assente o superficiale conoscenza storica e materiale della sua evoluzione, dei contesti storici, sociali e culturali che l'hanno gradualmente prodotta.

Progettare un intervento nella complessità del corpo urbano, nella parte della sua materia che più si offre multiforme, viva e problematica, non può prescindere da questo studio e dalla sua verificabilità in res. E’ questa l'intuizione che ci ha spinto a costruire un itinerario selettivo quanto filologico nella genesi della Roma moderna dall'epoca post-unitaria ai giorni nostri.


LA DERIVA COME METODOLOGIA ETICA ED ERMENEUTICA

Lo strumento prescelto per sviluppare questa riflessione è stato individuato in quella che abbiamo voluto definire - sulla scia dell’esperienza situazionista - deriva (l'attenzione nella scelta e nell'utilizzo dei termini è per noi una componente metodologica strutturale e sintomatica).

« Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l'alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari. » (Guy Debord).


La deriva, all'opposto dell'esplorazione, è un modo di procedere che punta a stabilire un rapporto di intimo ascolto, alla pari, con lo spazio attraversato, un’attitudine eticamente destrutturante che si priva a priori della possibilità di sovrascrivere la realtà.

Siamo dell’idea che lo spazio urbano - e chi lo vive - non vada colonizzato dal pensiero e dalle azioni, ma attraversato consapevolmente, attentamente letto e riflettuto.

Le nostre derive sono quindi allo stesso tempo esperienza di ascolto dello spazio e momento di analisi e riflessione peripatetica sulle stesse modalità relazionali (e sentimentali) che ci legano ad esso.

Il frutto di questo procedere, lungi dal considerarsi esaustivo, rappresenta da un lato una risorsa attraverso cui il gruppo riflette e formula le sue proposte di intervento e ulteriore approfondimento, dall’altro, uno strumento di “messa in crisi” della percezione del sé e dell’altro da sé.


CRITERI DI SELEZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI "CASI STUDIO"

Il criterio di selezione dei “quartieri tipo” oggetto delle derive, è eminentemente storico.
All’interno di questo principio, abbiamo organizzato la sequenza in modo da poter generare una dialettica serrata e significante tra dimensione sincronica e dimensione diacronica.
Gli esempi selezionati rappresentano quindi (nei limiti) gli episodi più esaustivi dello zeitgeist (politico, economico, culturale) che li ha generati e più densi di implicazioni dal punto di vista storico-sociale, funzionale e formale (dimensione sincronica).

La decisione di effettuare questa serie di uscite con una cadenza settimanale (tra marzo e giugno 2007), ha d’altro canto innescato un processo “filmico” che ha messo in risonanza questi singoli brani di spazio urbano, producendo un surplus di senso e di esperienza in grado di arricchire e complicare, in itinere, l’osservazione e la riflessione (dimensione diacronica).

Alla base di questa scelta c’è l’intenzione, sin dai primi passi di una ricerca che non si vuole esaustiva ma problematica, di affrontare il rapporto centro-periferia partendo dal presupposto che è necessario pensare la periferia urbana non come una alterità opponente e minacciante l’integrità del “centro”, ma come una sua fase evolutiva e consustanziale - come un laboratorio magmatico - attraverso cui la città struttura progressivamente (attraverso modalità formali ed informali) la propria dislocazione sul territorio e la propria sopravvivenza in quanto organismo.

Leggere in termini “periferici” brani del territorio urbano che i tempi, gli usi e gli immaginari hanno materialmente e simbolicamente assimilato e reso “centrali”, è guardare alla relazione tra queste due apparenti polarità in termini “stadiali” anziché “assiali”.
Ribaltando questa prospettiva si aprono orizzonti ermeneutici ed epistemologici in grado, forse, di fluidificare le politiche di welfare e gestione del territorio, di farne vettori capaci di intrecciare e mettere a sistema livelli sin ora pericolosamente incomunicabili, quali quello sociale, urbanistico, economico e culturale. Minata la struttura binaria e gerarchica del rapporto centro-periferia, si è così in grado di porre l'accento sulla multidimensionalità della storia stessa, sottoponendone a critica fondamenti e rappresentazioni e rivalutando l'agency e il protagonismo di soggetti dei quali si sono, finora, ignorate le voci.


I "CASI STUDIO" - MODE D'EMPLOI

Attraversando fisicamente questi brani di città, abbiamo tentato di affrontarne la stratificazione e la stratigrafia, focalizzando l’analisi intorno a due ordini di questioni:

In che modo si generano, nel dispiegarsi spaziale e temporale (per via di “progetto” o per via “naturale”), i rapporti e le codificazioni che fanno di un quartiere una parte viva e “integrante” del corpo urbano o una sua scheggia impazzita, un nucleo connotato e connotante o un ghetto?

In che modo nasce e si sviluppa il processo di significazione o risignificazione che contribuisce alla costruzione di un’identità condivisa (non importa di che segno) e riconosciuta come “luogo comune” della e nella città?


A questa componente più strutturata della discussione si sono però aggiunte, di volta in volta, riflessioni scaturite dallo spazio percorso, che hanno gradualmente (e forse imponderabilmente) “cucito” i singoli retroterra culturali ed esperienziali affluenti al gruppo, arricchendo e sostanziando la sua originaria ipotesi di lavoro.

Per non fare di questa pratica dello spazio una forma più sofisticata (marziana) di “turismo” e per dare più rilevanza alla componente orale-memoriale, abbiamo deciso a priori di non raccogliere alcuna forma di documentazione (audio, foto, video) dell’esperienza.


DERIVA 01 > RICADUTE DELLA PIANIFICAZIONE 1873 - 1883
la nascita dell'ICP testaccio, san saba

DERIVA 02 > PIANO SANJUST 1909 - VARIANTE
interventi ICP e INCIS piazza verbano, garbatella

DERIVA 03 > LE BORGATE UFFUCIALI PRIMA, DURANTE E DOPO GLI SVENTRAMENTI
primavalle, quarticciolo, trullo

DERIVA 04 > LA RICOSTRUZIONE - PIANI UNRRA CASAS E INA CASA
s. basilio, tiburtino, tuscolano (I, II, III)

DERIVA 05 > IL BOOM ECONOMICO TRA PIANIFICAZIONE E LOTTIZAZIONE
villaggio olimpico, decima, casal palocco


DERIVA 06 > L'INFLUENZA DEL PIANO 1962 - I PEEP (LEGGE 167)
vigne nuove, tor sapienza, spinaceto

DERIVA 07 > BORGATE DI NECESSITA' E DI SPECULAZIONE
tor de cenci, vitinia, casalotti


DERIVA 08 > LA PERIFERIA COME "OASI" POSTMODERNA
olgiata


DERIVA 09 > II PEEP
tor bella monaca


DERIVA 10 > IL NUOVO MODELLO "QUARTIERE/CENTRO COMMERCIALE"
”parco leonardo”, il quartiere “ikea” (anagnina)



LA STORIA COME STRUMENTO OPERATIVO DEL PROGETTO

La progettazione, la costruzione e la pratica della sequenza di derive, hanno confermato in noi la convinzione che la storia di un luogo, la sua genesi urbanistica e architettonica, le sue trasformazioni, il racconto (il ricordo) dei suoi vissuti, i metatesti che su di esso, eventualmente, vengono nel tempo prodotti, è e può essere un potente fattore nella costruzione o ricostruzione di un immaginario condiviso o condivisibile, da parte di chi lo abita e di chi lo vive.
In quest’ottica il gruppo di studio ha deciso di servirsi della storia e delle storie non solo come mero e freddo strumento istruttorio, ma anche e soprattutto come possibile terreno di incontro e di scambio, come un vettore in grado di rendere disponibile e permeabile, nel farsi del lavoro, il patrimonio memoriale e identitario dei singoli e delle collettività.
Le derive stesse, come altre forme più o meno “mediate” di pratica spazio-temporale (compresa la materia fotografica, cinematografica, orale, scritta), entreranno quindi a far parte integrante del workflow che i singoli progetti potranno sviluppare.
Se a Roma il concetto (gerarchizzato e gerarchizzante) di storia assume dimensioni immani quanto inibenti (andando concettualmente contro lo stesso “palinsensto” su cui ha costruito il suo splendore), crediamo che il modo migliore per sciogliere questo nodo, sia offrire un contributo capace di dimostrare che solo una sua visione dialettica e viva può salvare il centro dalla musealizzazione e la periferia dall’espiazione di un mancato (o mai perseguito) compimento.

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DALLE POETICHE ALLE PRATICHE

Attraverso la presentazione di alcuni progetti italiani ed esteri, inauguriamo il vero e proprio spirito di questo blog, che non vuole essere la vetrina autoreferenziale di un unico percorso (il nostro), peraltro appena iniziato e ancora in parte inespresso, ma un autentico osservatorio/laboratorio sulle poetiche e sulle pratiche dispiegate dalla ricerca artistica contemporanea in campo sociale.
Pensiamo questo blog come una piattaforma attiva di discussione e di rilancio della partecipazione e dell'analisi multidisciplinare della complessità urbana intese come forme "ritrovate" dell'etica e dell'ermeneutica artistica, convinti che in questo modo si possa offrire un contributo concreto e democratico alla disseminazione, alla "complicazione" e al radicamento di simili, nuove esperienze.

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11.12.07

Wolfgang Berkowski_meno e più 3

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Invitato a partecipare ad un concorso di architettura dallo studio romano Scape, l’artista tedesco Wolfgang Berkowski, residente a Roma da diversi anni, ha rilevato nel quartiere residenziale dell’Olgiata esattamente lo stesso tipo di problematiche con cui solitamente viene stigmatizzata la periferia: mancanza di servizi, di sicurezza, e sopratutto di spazi di relazione. Per trasformare un luogo in una comunità viva, Berkowski propone una serie di spazi multifunzionali dei cui usi e della cui manutenzione sono responsabili gli abitanti del quartiere. Attraverso la cura si creano relazioni, dialogo, e narrazioni condivise.

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WOLFGANG BERKOWSKI

MENO E PIU' 3

ROMA 2007

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Semplici forme geometriche vengono distribuite sulla superficie del parco, di notte si illuminano dando orientamento a chi lo percorre, di giorno le sculture si aprono e cambiano funzione, trasformandosi in padiglioni a disposizione della comunità locale, a cui è lasciato anche il compito di interpretarne l’uso a seconda delle necessità e desideri.


Propongo tre strutture:

un padiglione per i bambini, un parco giochi al coperto che può cambiare forma a seconda delle loro attività e che offre spazi al coperto e all’aria aperta e un riparo dal sole o dalla pioggia.
Un secondo padiglione ospita una collezione di libri ad uso pubblico, creata attraverso le donazioni degli abitanti di quartiere. La struttura, una volta aperta, cambia forma e fornisce ombra e riparo. Il terzo padiglione ha una forma ovale e può essere aperta in diverse maniere, in modo da essere usata come palco per una recita, sala prove per la musica e altre attività.
L’opera è completa solo attraverso l’uso e la destinazione determinati dalla comunità locale, e vuole essere un elemento funzionale nella creazione di quel ‘noi’ che è alla base di una vera realtà di quartiere attraverso l’offerta di spazi comuni dove la comunità locale può incontrarsi e fare insieme delle cose.

L’edilizia popolare a Roma, dai primi quartieri fondati fuori dalle mura Aureliane fino a quelli del primo Piano di Edilizia Economica e Popolare (PEEP I) costruiti a cavallo tra Sessanta e Settanta, è sempre stata caratterizzata dalla presenza strutturale (spesso in forma di “spina” posta al centro dell’abitato) di servizi e spazi per l’uso comune e per l’incontro. Questi luoghi comuni contenevano la lavanderia e l’asilo per i bambini nei quartieri realizzati grossomodo entro la prima metà del secolo, teatri o spazi per la cultura e servizi al cittadino fino agli anni Settanta.
Al termine di questo periodo, e soprattutto se consideriamo i quartieri costruiti negli ultimi venticinque anni, questi luoghi cominciano ad atrofizzarsi e a mutare geneticamente (fino a raggiungere la forma/funzione del centro commerciale), segnando un cambiamento sintomatico ed epocale: il passaggio da una cultura pubblica al puro interesse (speculativo) privato.
Il progetto cerca di recuperare in forma artistica ciò che rimane di questa erosione, e lo reinterpreta in maniera attuale nell’ottica delle politiche partecipative.

I tre padiglioni sono da un lato vere sculture che rimandano al linguaggio del minimalismo, dall’altro hanno una funzione: sono indicatori spaziali e danno luce, di notte; di giorno sono spazi a disposizione della comunità che vivrà nel nuovo quartiere, che ne deciderà la destinazione e avrà cura di renderli vivi e funzionanti. Questa fase di auto-organizzazione non verrà lasciata alla sola iniziativa dei cittadini, ma vedrà l’artista collaborare con gli abitanti del quartiere alla “messa in opera” dei padiglioni, della determinazione della sua funzione e del suo uso.

All’interno delle politiche di partecipazione un fattore determinante è infatti la comprensione che ogni comunità di quartiere ha le sue specificità, immaginari e desideri. L’artista coinvolto in un progetto partecipativo si fa interprete delle necessità della comunità, ne diventa parte e accompagna il progetto perché questi spazi divengano realmente comuni e funzionali al nuovo quartiere.

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Scape - studio di architettura
Concorso per asilo nido e scuola materna,
aree verdi attrezzate, parcheggi pubblici - Olgiata


Esito: gruppo ammesso alla seconda fase
Ente banditore: Comune di Roma
Con: Wofgang Berkowski (artista); Margherita Salvadori (pedagoga);
Letizia Carpi (paesaggista)

Superficie lorda edificio: 4100m2
Scuola materna: 1485m2
Asilo nido: 1300m2
Parcheggi del complesso scolastico: 1010m2
Parcheggi di pertinenza della stazione: 4265m2
Parco: 26850m2
Giardino complesso scolastico: 3885m2
Importo previsto: 5.2M euro

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